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Lettera 2 di 13 – Antidoto alla normalità

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la terapia del calzino

[Ore 15:43, scrittoio sospeso. Tana – Fuori c’è un bel sole che rende i colori vivaci e saturi. Guardo fuori dalla finestrella del sottotetto e questa luce mi fa sentire bene. Frida dorme nella sua cesta e io ho quasi finito la mia tazza di ‘Piccadilly blend loose tea’… delizioso. Melagrana e Perpenna sono fuori, stese al sole come panni ad asciugare].

Carissima,
ti metto i link alle cose che mi piacciono – come il the lassù – perché immagino che anche tu sia curiosa di scoprire cose nuove, inoltre amo sponsorizzare tutto ciò in cui sento valore.

Il valore, che gran cosa.

A proposito del valore, ti voglio raccontare questa cosa: mia suocera sta svuotando casa in vista del trasloco e io ricevo scatoloni e scatoloni di doni tra i quali rovistare alla scoperta di quello che più fa al caso mio. Se un po’ mi conosci, puoi facilmente capire che per me è una gran gioia rovistare in mezzo a tutto quel ben di dio e scegliere i pezzi che conquistano il mio cuore. Una vera festa! E siamo solo all’inizio, perciò è ancora più emozionante. Ci sono tantissimi vestiti e accessori proprio belli, ma i miei preferiti sono quelli che hanno addosso un bel po’ di anni, e sai perché? Perché sono immortali. Sono così ben fatti con dei materiali così pregiati, da renderli eterni. Perciò adesso nel mio armadio c’è una nuova collezione di sciarpe, maglie, maglioni e foulard semplicemente eccezionali. Per far spazio a queste meraviglie, ho rinunciato senza batter ciglio ai modelli più banali (e sintetici) acquistati nei grandi magazzini qui intorno. Sono sempre più convinta che questo genere di ‘merci’ non abbia più alcuna attrattiva e che sia destinato a scomparire nel nulla. (O almeno, lo spero perché ha portato con sé troppi effetti collaterali dei quali mi sento anche io responsabile).

Un altro aspetto positivo di questa cernita emozionante è che mi prendo del tempo e questa – in generale – è la più grande novità della mia vita. Può sembrarti banale, e spero tanto per te che sia così, ma per me è r i v o l u z i o n a r i o.

Se mi giro e guardo al mio recente passato – diciamo gli ultimi sette o otto anni – mi vedo in un’eterna apnea.

Vedo io che mi alzo (in ritardo), faccio colazione (di fretta), vado al Ghirigoro (di corsa), lavoro (a testa bassa), faccio la pausa pranzo (quinidici minuti), mi rimetto al computer (senza avere mai veramente staccato), mi alzo per fare pipì (quando proprio mi scappa); rispondo al telefono (mentre penso ad altro); lavoro finché riesco (tipo dodici ore), rientro alla Tana (con la testa nel pallone), riempio lavatrice e/o svuoto lavastoviglie (pensando ad altro), preparo qualcosa per cena (mangiando nel frattempo), mi butto sul divano e mi lascio portare via da un film o da una serie tv; mi addormento (scomoda) e finalmente mi decido ad andare a dormire (trascinandomi faticosamente di sopra e crollando non appena tocco il cuscino). Nel fine settimana – se non lavoro – faccio le pulizie e invito persone (cercando di fare in modo che sia tutto perfetto quando arrivano); poi ripulisco (che avevo appena pulito) ed è lunedì.

Ti ho fatto paura o hai sentito qualcosa di familiare?

O hai preso paura perché hai sentito qualcosa di familiare? Beh, lascia che ti dica una cosa: da marzo dello scorso anno, quando nel mondo è arrivato tu-sai-cosa, io ho cambiato vita.
Prima per forza, poi per amore. Amore per me, prima di tutto.

E sono partita dai calzini.
Davvero.
Sì, perché io ho sempre odiato le cose lente: per anni ho bevuto il caffè macchiato freddo per non dovere aspettare che si raffreddasse; lasciavo la cesta delle cose da piegare lì in attesa, anche una settimana, perché quando tiravo fuori i panni dovevo correre a fare altro; capelli corti per non doverli asciugare; abiti sbrigativi per potermi muovere agilmente, manco mi corresse dietro il diavolo (o forse una parte di me sapeva che era così?)… tuuutto quello che richiedeva PRESENZA, io lo evitavo. Rapida, efficiente, efficace.

E poi? E poi BUUUM.
LA PANDEMIA.
E le giornate sono tornate a riempirsi di tempo, di piccoli rituali, semplici, meravigliosi, vitali, come piegare i calzini sul bancone, in cucina.
Piano piano.
In silenzio. Io e me. Me e io. Io intera. Finalmente.

E ho scoperto che mi piace.
Ha tutto un altro sapore la vita, così.

Perciò ho riempito le mie giornate di piccole bellissime cose.
Tutti i giorni, senza eccezione.

Che sia studiare un’ora i miei libri sacri mentre faccio colazione, oppure fare due passi mentre c’è una bella luce, o inginocchiarmi in lavanderia per tirare fuori una ad una le cose dall’asciugatrice e piegarle per bene nella cesta. Ho ricominciato a stirare, anche. Ogni quindici giorni mi prendo una sera e mi metto lì con la mia acqua profumata alla lavanda (la prendo al Naturasì, dove ci sono i prodotti ricaricabili) e una serie tv leggerina e stiro due o tre ore e respiro questa lavanda e godo nel vedere le pieghe che si distendono e i panni ben piegati sul tavolo del soggiorno. Spazzo il cortile mentre mi pulisco la testa; spezzo i rametti che servono per accendere il camino e li sistemo nelle cassette; mi faccio un pediluvio in silenzio; mi massaggio le piante dei piedi con la crema prima di mettermi a dormire; salgo in camera prima di addormentarmi sul divano, così leggo almeno qualche paginetta prima di sentire la polverina del sonno che mi costringe a chiudere gli occhi; mi spalmo la crema finchè si assorbe per bene; aspetto tranquilla che si carichino le pagine su internet; respiro; resto; sto. Ferma. Scrivo molto. Riempio l’agenda di adesivi stupendi e uso penne di tutti i colori. Mi annoto le cose che imparo leggendo quello che scrivono gli altri o ascoltando un’amica parlare. Rifletto. Mi do tempo. Mastico lentamente e annuso un sacco. Sento. E ogni tre per due mi scopro con le spalle tese (e le rilasso), con i denti serrati (e lascio andare), con la fronte corrucciata (e la distendo). E respiro. Mi preparo un the o una tisana e mentre l’acqua bolle, non faccio nulla. Niente. Sto lì. Sto lì ad accarezzare i cani. Sto lì a guardare Alessandro. Sto lì ad osservare i gatti. Sto lì a contare gli uccellini che beccano i semi che lascio loro sul tavolo fuori. Sto lì quando mi parla un amico. Sto lì anche quando provo molto dolore o paura per me e per gli altri, come purtroppo mi è successo spesso, ultimamente. Ho perfino sgarbugliato un nodo, un giorno.

Ti avevo promesso letterine piene di rivoluzione e di avventure alla ri-scoperta del piacere e, per me, il piacere nasce dalle cose piccole e poi invade il mondo, come la natura quando la lasci libera. Dobbiamo stare bene, sorella mia. È l’unico nostro vero dovere in questa vita, lo sai? Tutto i resto è un equivoco, qualcosa su cui non ci siamo capite bene molto tempo fa.
Se anche tu – come me – sei passata o sei dentro a schemi autodistruttivi (apprezzatissimi dalla società che cerca di farceli passare come efficienza e professionalità) scaricati questo piccolo promemoria, salvalo sul telefono, stampalo da qualche parte e mettilo in bella vista e davvero, per favore, segui questo consiglio. Non potrai mai più farne a meno.

Tua, Floriana